Il tema delle condizioni delle carceri italiane e di chi vi è recluso o vi lavora è argomento caldo in queste ultime settimane. Non solo per le alte temperature, che colpiscono una popolazione già stremata e in difficoltà per condizioni a dir poco critiche. Vari sono stati i suicidi e i tentati suicidi di detenuti, anche nei nostri territori. Il dibattito si sta concentrando anche sulle condizioni e possibilità di lavoro negli istituti, possibilità al centro dell'istituzione nella legislazione italiana di Case Lavoro come quella di Torre Sinello a Vasto.
Il sottosegretario alla giustizia Andrea Ostellari ha proposto di istituire un fondo a a sostegno delle vittime di reati «da alimentare con una piccola parte degli stipendi dei detenuti che lavorano». Su questa proposta è intervenuta la storica militante radicale e presidente dell’associazione Nessuno Tocchi Caino Rita Bernardini, impegnata da decenni sul rispetto dei diritti umani negli istituti detentivi italiani all’Adn Kronos. Rita Bernardini dichiara di essere favorevole, «prima però diamogli un lavoro che oggi non c’è» a chi è detenuto.
«Chi conosce quale sia la condizione dei detenuti che lavorano in carcere sa che è assegnato al lavoro solo il 25-30% dei ristretti, che un detenuto lavora in media 2-3 mesi all'anno per poche ore al giorno, che il salario si aggira in media, per i mesi che si lavora, intorno ai 150-200 euro (tranne che per i cuochi e gli addetti alla Manutenzione Ordinaria Fabbricato che fanno anche turnazioni più lunghe con un lavoro più stabile) e che dal salario vengono immediatamente trattenute le quote per il mantenimento – sottolinea la presidente di Nessuno Tocchi Caino - poi ci sono i lavori più remunerati (ma sempre di salari bassi parliamo) come quelli alle dipendenze di cooperative o imprese esterne o per le lavorazioni gestite dall'amministrazione penitenziaria: in tutto si tratta di circa duemila detenuti, cioè del 3,4% della popolazione ristretta». La proposta di Ostellari non sarebbe una novità assoluta: Rita Bernardini ricorda che «già oggi lo stipendio del detenuto può sempre essere trattenuto fino a un quinto se il creditore (il ministero o le vittime di reato) agisce per il recupero del credito».
«La maggior parte dei detenuti non ha la possibilità di lavorare in carcere e quando lo fa prende compensi miserrimi – testimonia Rita Bernardini - migliaia sono coloro che non hanno nemmeno di che vestirsi, con cosa lavarsi, con quali soldi telefonare alle famiglie» e «da anni sento parlare di lavoro in carcere, ma la realtà è che si fa di tutto per ostacolare il lavoro vero, il lavoro serio tanto che ogni anno non viene nemmeno speso l'intero ammontare dei fondi della Legge Smuraglia per gli sgravi fiscali alle imprese che assumono detenuti».