L’uccisione a fucilate dell’orsa Amarena, specie a rischio e simbolo della natura abruzzese, sta suscitando molte reazioni e grande indignazione. Tra le prime reazioni quelle di diverse associazioni ambientaliste, negli anni protagoniste di iniziative a tutela dell’orso e che in diverse hanno già dichiarato che si costituiranno parte civile in un futuro processo penale. Alla reazione per la morte di Amarena si aggiunge la preoccupazione per la sorte dei suoi cuccioli.
«L'orsa Amarena è l'ennesima vittima non solo della pericolosità sociale d'individui cui pure si concede il porto d'armi, ma anche del clima d'odio nei confronti dei grandi carnivori fomentato in Italia da alcuni esponenti politici» accusa l’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa). «Mentre il personale del Parco è alla ricerca dei due cuccioli, evidenziamo come questa tragedia sia una delle conseguenze della "caccia alle streghe" che alcune Amministrazioni locali stanno aprendo in Italia nei confronti di orsi e lupi colpevoli solo di fare gli orsi e i lupi» attacca l’associazione che si scaglia contro «l'espressione di una propaganda malata, che crea paura e punta solo a intascare voti di chi vuole la legge del taglione per qualche danno, sempre risarcito».
Per il presidente della Lipu Alessandro Polinori «l'imprudenza degli amministratori e l'inazione dello Stato rendono indispensabile l'intervento della Commissione europea» dopo «un fatto gravissimo e triste, segno del livello raggiunto in Italia dal bracconaggio, con atti continui, diffusi su tutto il territorio e solitamente impuniti, nell'indifferenza dello Stato». La Commissione europea ha già aperto «un'inchiesta sull'Italia proprio per l'inazione nella lotta al bracconaggio sugli uccelli selvatici, è l'unica chance per cambiare registro, arginando se non fermando il fenomeno» sottolinea il rappresentante legale della Lipu che afferma si attendersi «che il ministro dell'Ambiente Pichetto Fratin finalmente si pronunci e assuma iniziative concrete ed adeguate».
«L'episodio è un fatto gravissimo, che arreca un danno enorme alla popolazione che conta una sessantina di esemplari, colpendo una delle femmine più prolifiche della storia del Parco» hanno dichiarato Antonio Nicoletti, responsabile nazionale Biodiversità e Aree protette di Legambiente e Giuseppe Di Marco, presidente Legambiente Abruzzo.
«Una storia che abbiamo gia visto, nel 2014 a Pettorano accadde qualcosa di simile e all fine di una lunga trafila giudiziaria il responsabile venne condannato a risarcire il danno che aveva provocato ad una specie rara , simbolo della nostra Regione e di tutto l'Appennino Abruzzese – laziale e molisano – secondo l’associazione Salviamo l’Orso - il fatto ci costringe a ricordare a tutti , in primis ai Sindaci e alle ASL abruzzesi le decine di pollai abusivi ed illegali che lor signori tollerano da anni nonostante gli appelli dei parchi nazionali a una bonifica totale e definitiva che non può più essere rimandata».
«Una notizia terribile e un evento che rischiano di vanificare gli sforzi per la conservazione dell’orso bruno marsicano, il plantigrado più raro d’Europa – si legge nel comunicato stampa del Wwf Italia - nel nostro Paese, purtroppo, le leggi non sono idonee a punire in maniera adeguata i responsabili di gesti tanto efferati, e anche quelle esistenti non vengono quasi mai applicate rigorosamente». «Questo drammatico atto di bracconaggio è anche conseguenza di un’azione sistematica di disinformazione che riguarda la convivenza tra uomo e grandi carnivori e più in generale tra uomo e natura» ha dichiarato il presidente nazionale dell’associazione, l’abruzzese Luciano Di Tizio - siamo di fronte ad un’operazione che sta entrando sempre più spesso nell’arena della propaganda politica, con tutte le distorsioni che ne conseguono. Oltre a quelle dell’autore di questo atto è dunque necessario individuare anche le responsabilità di chi, quotidianamente, in settori del mondo politico, venatorio e agricolo, alimenta irresponsabilmente e strumentalmente sentimenti di paura e giustifica o istiga all’uso del fucile come unica soluzione».