La zia di mia madre ancora oggi alla porta di casa lascia appesa una fascetta di saggina. Quando le chiesi il perché, da bambina, mi raccontò la leggenda del “mazzemarelle”: un piccolo e dispettoso spiritello, l’anima di un bambino morto prematuramente e senza battesimo, per cui indegno secondo la regola di entrare in Paradiso. Eppure, il Diavolo, colui che divide, quando alla porta dell’Inferno trova queste piccole anime, sa che non è stata loro la scelta di non ricevere il sacro battesimo: è stato il tempo, avaro ed egoista, a rubare gli attimi e a provocare la “ingiusta morte” di cui parla Raffaele Artese nel suo poemetto "Lu Mazzemarelle”. E allora il Diavolo quasi prova pietà e non apre loro nemmeno le porte dell’Inferno e dell’eterno tormento. Le piccole anime sono mandate a vagare la notte, nelle case silenziose ove i vivi ignari riposano, vulnerabili, per disturbare i loro sonni, indurre incubi, bloccare il respiro arrampicandosi, con il cappuccio a coprirsi le fattezze, sui petti dei dormienti. Non entra mai nelle abitazioni che mostrano alla porta una fascetta di saggina: egli è obbligato a contarne ogni filo prima di entrare e, impaziente, non avendo il tempo perché l’ha già perso tutto, passa oltre, verso case non protette.
Qualcuno giura di averne vista l’ombra sgusciare sotto il letto, d’averne scorto il ghigno nel buio: una malvagità ingenua, goliardica e dionisiaca, dispettosa, per la quale la vendetta costante che porta ai viventi è solo un eterno gioco. Raffaele Artese parla di “vittoria sulla morte ingiusta” e di “riaffermazione di un diritto negato”, “equilibrio ristabilito nella vicenda esistenziale”. L’archetipo in gioco è la Morte, non come fine e cessazione di attività e movimento ma come cambiamento di piani, addirittura ribaltata e riaffermata come Vita, Trionfo, ferrea volontà di propugnare il proprio diritto di essere vivi. È una Rinascita.
Anche altrove si hanno miti simili. Lo stesso mazzemarelle si ritrova, con lo stesso nome, nella tradizione marchigiana, mentre a Napoli è chiamato “o munaciell”. Invece nel Teramano il compito di disturbare il sonno dei dormienti è affidato ad una strega, la Pantafica, che viene percepita in modo abbastanza simile: ti si siede sul petto e ti blocca il respiro, ti induce sensazioni spiacevoli, immagini oniriche velate di ombre, incubi veri e propri.
Lungo la penisola italica e fino al Nord Europa, numerosissime e varie figure notturne della stessa natura del mazzemarelle animano il folklore dei luoghi: spiritelli, mostriciattoli e streghe che, quando la luce del Sole non illumina i letti e gli esseri umani abbandonano il controllo per viaggiare dentro il sonno, si intrufolano nelle loro case e provocano i più terribili incubi, lasciandosi a volte intravedere solo per aumentare il dubbio e l’angoscia.
Nel Medioevo, addirittura, nella tradizione popolare europea lo stesso Incubo era una creatura mostruosa ed infernale che provocava il “brutto sogno” e anche quella sensazione di soffocamento che oggi, in medicina, è chiamata paralisi ipnagogica (o ipnopompica), quel raro stadio all'inizio o alla fine del ciclo notturno del sonno accompagnato da allucinazioni visive, olfattive ed uditive. Gli esseri umani, nel corso dei secoli, hanno tentato di spiegare il significato di queste e molte altre situazioni e sensazioni fuori dalla norma attraverso la creazione di figure, immagini, miti e simboli che ancora oggi soddisfano le curiosità più recondite dell’animo umano, poiché attingono da energie primigenie che, dal mondo antico del filosofo Platone, passando per il Medioevo con Erasmo da Rotterdam, fino allo psicanalista tedesco Carl Gustav Jung, sono state chiamate Archetipi.